DottIl contributo delle discipline umanistiche al dibattito sul cambiamento climatico è gestibile. Il cambiamento climatico è il dominio delle scienze della Terra, dell’economia e, in una certa misura, delle scienze sociali. La germanistica, la filosofia e perfino la teologia non sono in prima linea quando si tratta di “affrontare” le sue conseguenze. Se queste discipline esaminassero le loro poste in relazione al cambiamento climatico, sarebbe come onorare un debito di cui si sarebbe voluto evitare l’amara constatazione: si è parte del problema, e senza esaminare le proprie certezze difficilmente si sarebbe capace di. Riuscire a fare questo può contribuire a salvare il pianeta.
Molto spesso ciò assume la forma di una critica all’Illuminismo. Nella trinità illuminista di scienza, tecnologia e fede nel progresso si riconosce il progetto che ha portato l’umanità sulla via della catastrofe autoinflitta. Ma se la filosofia abbandona questa strada, che è già chiara, sarà una rottura con le sue stesse premesse. Naturalmente questo non funziona. In una recente conferenza sull’argomento tenutasi all’Accademia delle Scienze di Berlino-Brandeburgo, il professore di filosofia Martin Molso ha favorito le consuete formulazioni della contrizione filosofica. Ciò che occorre è la critica della critica, l’illuminazione dell’illuminismo con la sua negatività o dialettica, cioè niente meno che una ragione “diversa”.
Infografica sui cambiamenti climatici
Tuttavia, il fascino di queste figure intellettuali affermate sembra essersi già esaurito dopo i rilevanti contributi di Bruno Latour e Donna Haraway. Haraway ha criticato il fatto che il concetto di Antropocene non offra alcuna prospettiva fuori dall’autodistruzione delle specie a causa del suo antropocentrismo. Ma come superare tutto ciò senza essere accusati di evasione o esoterismo, come hanno fatto Haraway e Latour con le loro invocazioni di Gaia o “Ctulocene”? Per illustrare il cambiamento climatico, Mulso ha utilizzato la figura terrificante del colosso della teologia indù, che schiaccia con forza inarrestabile tutto ciò che blocca il suo cammino verso l’abisso.
Che cosa hanno le critiche illuministiche per contrastare tutto ciò? Forse la loro convinzione è di poter scoprire alcune forze di redenzione attraverso altre autodescrizioni della modernità. Se oggi siamo noi, dal punto di vista degli uomini del prossimo “secolo dell’inferno”, a rendere per loro il pianeta inabitabile, come sottolinea Molso, allora ciò non può che essere un’autoaccusa – eppure è completamente inefficace, ad es.
Disperazione per l’incoerenza delle misure attuali
Nonostante il suo stoicismo comprensivo, l’appello di Moulso ad “abbandonare la speranza senza disperazione” ha un trucco: lei troppo velocemente respinge la possibilità che tale disperazione sia in realtà l’atteggiamento moralmente desiderato piuttosto che la speranza divorante. È logico interpretare le terribili previsioni delle scienze della Terra per il prossimo secolo come fatti provati. Ma non si dovrebbe allora riconoscere che la disperazione per l’incoerenza delle attuali misure volte a limitare l’aumento della temperatura è in definitiva la posizione più coerente? L’impazienza disperata degli attivisti dell’ultima generazione può almeno pretendere di incarnare, nella loro solidarietà morale con i popoli del ventiduesimo secolo, l’atteggiamento che la filosofia odierna deve informare se vuole intendersi come insegnamento della moralità. E morale.