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C’è una lotta di classe in corso in Italia per la pizza

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C’è una lotta di classe in corso in Italia per la pizza

Quanto costa una buona margarita? Ed è lecito ricoprire il simbolo dell’uguaglianza con una foglia d’oro?

Sessantacinque euro: tutto è iniziato con questa provocazione. A questo prezzo propone Flavio Briatore, ex titolare della squadra corse ed ex amante delle top model Heidi Klum O Naomi Campbell, nella sua nuova catena di lusso “Crazy Pizza”, condita con prosciutto spagnolo. La versione al tartufo arriva a 49 euro, la semplice margherita a 15. Migliore è la roba più costa, un importante fornitore di status symbol per i ricchi e belli leggii d’Italia. Ciò che è seguito: indignazione dei pizzaioli napoletani, proteste di massa spontanee e un tema estivo che coinvolge ogni ingrediente immaginabile. Non c’è fine, la stufa a legna è ancora rovente.

Apprezziamo il peso ideologico di questa “polemica”: la pizza napoletana (dal 2017) non è solo un patrimonio immateriale dell’umanità. Dopotutto, è considerato un simbolo culinario di uguaglianza: cibo delizioso e di alta qualità che chiunque può permettersi per sei euro a margherita. “Tutti sono uguali prima della pizza”, predica il suo Gran Maestro Sorbillo, portavoce dei manifestanti di Briatore, il cui negozio è pieno di centinaia di persone ogni giorno: funzionari, disoccupati, pensionati, bambini.

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